Lippi: “La sfida scudetto? Lo vince uno tra il Milan o Napoli”
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Lippi: “La sfida scudetto? Lo vince uno tra il Milan o Napoli”
Marcello Lippi, quanto è lontana Johannesburg un anno dopo?
«Molto lontana».
Il tempo è il medico migliore anche nel calcio?
«E’ una questione di prospettive. Quando siamo tornati dal Sud Africa, sotto il peso del fallimento, contava solo quello. Ed è normale. Eppure a poco a poco riermergono anche i risultati positivi di una carriera. E io ho vissuto l’apoteosi mondiale in Germania, prima di quel tonfo. Diciamo insomma che il piano generale di giudizio è tornato a livellarsi».
Assumersi la responsabilità di quello che era accaduto, per quanto apprezzabile e poco italiano, è stato magari un modo per non entrare nel merito di quanto era accaduto?
«No. Valeva per quello che è stato. Dire: “E’ colpa mia” significava mettere me al centro di quella sconfitta. E il discorso può essere riallacciato a quanto stavo spiegando prima. Io ho sempre pensato che l’allenatore valga molto all’interno di un gruppo, certamente più del 20% come sostiene qualcuno. Ecco, in Germania credo di aver avuto un peso importante nel successo. Per coerenza non potevo lasciare orfana la sconfitta».
Una sconfitta annunciata, per certi versi. La Confederations Cup, nel 2009, aveva dato segni inequivocabili di stanchezza dei suoi campioni di Berlino. Eppure lei ha insistito sugli eroi tedeschi.
«Io ho coltivato un progetto preciso, lo dico per onore di verità, non per cercare alibi. Per almeno cinque, sei mesi, a cavallo delle due esperienze sudafricane: l’idea era quella di una squadra con la difesa a tre: Nesta-Cannavaro-Chiellini, Maggio e Criscito esterni. Mi piaceva l’ipotesi di rafforzare la linea davanti a Buffon. Per alcune volte sono stato a Milanello, ho parlato con Alessandro. Lui era quasi convinto, poi un infortunio ha tolto questa opportunità. Però ho pensato a Bonucci. Poteva funzionare. E si è rotto Chiellini, tanto che a tre giorni dall’esordio con il Paraguay, senza aver mai potuto provare il 3-5-2, ho abbandonato tutto».
Buffon e Pirlo ko…
«Appunto. E’ un’analisi serena, sia chiaro. Non racconto tutto questo per cercare scusanti. Perché sia chiaro: detto tutto questo, l’Italia campione del mondo non può pareggiare con la Nuova Zelanda e perdere con la Slovacchia».
Concediamoci un “se”: in condizioni tecnico-tattiche migliori, il suo obiettivo quale era? Un onorevole quarto posto?
«Un mondiale non è “il milionario” di Jerry Scotti… Non c’è un tetto, che uno prestabilisce. Cerchi di fare sempre meglio. Però, con onestà, bisogna dire che in tutti c’era la ragionevole consapevolezza che ripetere l’impresa tedesca sarebbe stato praticamente impossibile».
E comunque il suo destino era già stato deciso, indipendentemente da quel mondiale.
«Sì, Prandelli era stato già annunciato come futuro ct».
Un anno dopo, può raccontare il vostro primo incontro a Viareggio, a ferita apertissima?
«Mi fece un sacco di domande, io gli raccontai alcune cose».
Ci fu uno scambio di idee anche su Cassano e Balotelli, che lei aveva ignorato e che lui invece aveva appena messo al centro del suo progetto?
«Guardi, non ci casco, non mi interessa alimentare un certo tormentone. E comunque credo che Balotelli debba essere tenuto in considerazione, a patto che si confermi, con continuità. Di sicuro posso dire che questa nuova Nazionale mi piace molto. Ci ritrovo le sensazioni che dava la mia prima Italia, vogliosa, compatta, motivata. Mi auguro che sia di buon auspicio».
Ma quali sono le sensazioni che riguardano Marcello Lippi?
«Credo che sia chiaro ormai. Il tempo di restare fuori per me è finito. Ora, non è che in questo anno passato mi abbia cercato il Real o il Chelsea. Però contatti ce ne sono stati tanti, almeno una ventina, con club importanti e federazioni ambiziose. Ho preferito non parlare a fondo con nessuno, perché ancora avevo bisogno del mio tempo ».
Per la verità con l’Ucraina di Surkis c’è stato più di un contatto.
«E’ vero. Ma per varie ragioni quello è un discorso chiuso. Però con altri soggetti ci siamo lasciati in modo collaborativo. C’è chi ha capito la mia necessità. E se a settembre sarà sempre interessato al sottoscritto…».
L’Arabia Saudita sembrava disposta ad aspettare, ma ha scelto Rijkaard.
«Giusto, però preferirei una nazionale europea. Un’esperienza all’estero mi attira. A ottobre, con i giochi fatti verso Euro 2012, tutto si chiarirà».
Intanto riparte una stagione senza grandi protagonisti italiani in panchina: lei, Ancelotti, Ranieri, lo stesso Delio Rossi.
«Credo si tratti di scelte. E questo di per sé è un bene. Ognuno ha motivazioni sue, voglia di staccare, prendersi del tempo per approfondire. Per quanto riguarda Carlo in particolare, se posso confessare una mia sensazione personale, credo che Ancelotti in Italia non voglia più allenare. Penso che gli siano arrivate anche alcune proposte importanti. Ripeto, è una sensazione mia. Ma non credo di sbagliare. Lo stesso discorso vale per uno come Trapattoni, indipendentemente dall’età».
Brutto segno per il nostro calcio se i nostri allenatori di punta, una volta usciti, decidono poi di tagliare i ponti con l’Italia.
«Non è un momento semplice, per il nostro movimento ».
Proprio Delio Rossi ci diceva che il problema vero sono i dirigenti, incapaci di sostenere un progetto oltre le due settimane, tanto che in Italia uno come Ferguson non potrebbe resistere.
«Discorso complesso. Prima mi lasci dire una cosa: Ferguson, che è il vero fenomeno del calcio mondiale, con la passione che ha, potrebbe allenare ovunque. C’è anche un motivo, che mi ha confessato di recente. L’ho chiamato, come faccio ogni tanto, per chiedergli: “Senti un po’, ma quando smetti tu?”. E lui sorridendo: “Marcello, lasciare il campo vorrebbe dire stare tutto il giorno in casa con mia moglie…”».
Questa volta, a insidiare il dominio del suo Manchester è arrivato mister 15 milioni, il fenomeno Villas Boas.
«Ecco, si diceva prima dei dirigenti. Il discorso non è solo nazionale. Ce ne sono di tre tipi: quelli pronti a buttare anche 300 milioni a stagione; quelli che mescolano sport e impresa; quelli che investono e costruiscono, i miei preferiti, modello Barcellona».
Sì, ma Villas Boas?
«Non lo conosco personalmente, ma quello che vedo mi piace: organizzazione tattica, umiltà, grinta, gruppo, risultati».
E che si è liberato della “paternità” di Mourinho con uno slogan efficace: niente Special One ma Group One. Lei da che parte sta?
«A me non dovete chiedere una cosa simile: penso sia chiaro il mio pensiero sul calcio».
Abbiamo letto piuttosto che lei si rivede in Allegri.
«Vero. Stessa età di arrivo in un grande club, stessa ambizione, determinazione, fantasia nelle scelte, spregiudicatezza».
Resta ancora lui il favorito per lo scudetto?
«Sarà importante il mercato, ovviamente. Ma sul piano degli allenatori, Allegri e Mazzarri partono davanti. Sempre tenendo il paragone personale, in questi casi è un po’ come la mia Juve. Con società strutturate, con filosofie di gioco acquisite, è come accendere l’interruttore. Il Milan è un esempio di organizzazione, Mazzarri è al terzo anno con il suo gruppo. Per questo, in questo momento li vedo davanti».
Conte, o meglio, la Juve di Conte, dunque, deve rincorrere ancora?
«Antonio è la bandiera della juventinità, quella che sta cercando di riaffermare la società. La gente lo ricorda come giocatore straordinario e lo ama. Se c’è una persona giusta per questa missione è lui. Ma la società deve costruire la squadra in modo consapevole».
A Torino non possono fallire ancora una volta.
«Per questo tutti devono credere nel progetto portato avanti dal presidente Agnelli e da Marotta ».
Tutti parlano di top player, a partire da Aguero.
«Il Kun è un giocatore da Juve, senza dubbio. Vedo grande entusiasmo, bisogna concretizzare».
«Molto lontana».
Il tempo è il medico migliore anche nel calcio?
«E’ una questione di prospettive. Quando siamo tornati dal Sud Africa, sotto il peso del fallimento, contava solo quello. Ed è normale. Eppure a poco a poco riermergono anche i risultati positivi di una carriera. E io ho vissuto l’apoteosi mondiale in Germania, prima di quel tonfo. Diciamo insomma che il piano generale di giudizio è tornato a livellarsi».
Assumersi la responsabilità di quello che era accaduto, per quanto apprezzabile e poco italiano, è stato magari un modo per non entrare nel merito di quanto era accaduto?
«No. Valeva per quello che è stato. Dire: “E’ colpa mia” significava mettere me al centro di quella sconfitta. E il discorso può essere riallacciato a quanto stavo spiegando prima. Io ho sempre pensato che l’allenatore valga molto all’interno di un gruppo, certamente più del 20% come sostiene qualcuno. Ecco, in Germania credo di aver avuto un peso importante nel successo. Per coerenza non potevo lasciare orfana la sconfitta».
Una sconfitta annunciata, per certi versi. La Confederations Cup, nel 2009, aveva dato segni inequivocabili di stanchezza dei suoi campioni di Berlino. Eppure lei ha insistito sugli eroi tedeschi.
«Io ho coltivato un progetto preciso, lo dico per onore di verità, non per cercare alibi. Per almeno cinque, sei mesi, a cavallo delle due esperienze sudafricane: l’idea era quella di una squadra con la difesa a tre: Nesta-Cannavaro-Chiellini, Maggio e Criscito esterni. Mi piaceva l’ipotesi di rafforzare la linea davanti a Buffon. Per alcune volte sono stato a Milanello, ho parlato con Alessandro. Lui era quasi convinto, poi un infortunio ha tolto questa opportunità. Però ho pensato a Bonucci. Poteva funzionare. E si è rotto Chiellini, tanto che a tre giorni dall’esordio con il Paraguay, senza aver mai potuto provare il 3-5-2, ho abbandonato tutto».
Buffon e Pirlo ko…
«Appunto. E’ un’analisi serena, sia chiaro. Non racconto tutto questo per cercare scusanti. Perché sia chiaro: detto tutto questo, l’Italia campione del mondo non può pareggiare con la Nuova Zelanda e perdere con la Slovacchia».
Concediamoci un “se”: in condizioni tecnico-tattiche migliori, il suo obiettivo quale era? Un onorevole quarto posto?
«Un mondiale non è “il milionario” di Jerry Scotti… Non c’è un tetto, che uno prestabilisce. Cerchi di fare sempre meglio. Però, con onestà, bisogna dire che in tutti c’era la ragionevole consapevolezza che ripetere l’impresa tedesca sarebbe stato praticamente impossibile».
E comunque il suo destino era già stato deciso, indipendentemente da quel mondiale.
«Sì, Prandelli era stato già annunciato come futuro ct».
Un anno dopo, può raccontare il vostro primo incontro a Viareggio, a ferita apertissima?
«Mi fece un sacco di domande, io gli raccontai alcune cose».
Ci fu uno scambio di idee anche su Cassano e Balotelli, che lei aveva ignorato e che lui invece aveva appena messo al centro del suo progetto?
«Guardi, non ci casco, non mi interessa alimentare un certo tormentone. E comunque credo che Balotelli debba essere tenuto in considerazione, a patto che si confermi, con continuità. Di sicuro posso dire che questa nuova Nazionale mi piace molto. Ci ritrovo le sensazioni che dava la mia prima Italia, vogliosa, compatta, motivata. Mi auguro che sia di buon auspicio».
Ma quali sono le sensazioni che riguardano Marcello Lippi?
«Credo che sia chiaro ormai. Il tempo di restare fuori per me è finito. Ora, non è che in questo anno passato mi abbia cercato il Real o il Chelsea. Però contatti ce ne sono stati tanti, almeno una ventina, con club importanti e federazioni ambiziose. Ho preferito non parlare a fondo con nessuno, perché ancora avevo bisogno del mio tempo ».
Per la verità con l’Ucraina di Surkis c’è stato più di un contatto.
«E’ vero. Ma per varie ragioni quello è un discorso chiuso. Però con altri soggetti ci siamo lasciati in modo collaborativo. C’è chi ha capito la mia necessità. E se a settembre sarà sempre interessato al sottoscritto…».
L’Arabia Saudita sembrava disposta ad aspettare, ma ha scelto Rijkaard.
«Giusto, però preferirei una nazionale europea. Un’esperienza all’estero mi attira. A ottobre, con i giochi fatti verso Euro 2012, tutto si chiarirà».
Intanto riparte una stagione senza grandi protagonisti italiani in panchina: lei, Ancelotti, Ranieri, lo stesso Delio Rossi.
«Credo si tratti di scelte. E questo di per sé è un bene. Ognuno ha motivazioni sue, voglia di staccare, prendersi del tempo per approfondire. Per quanto riguarda Carlo in particolare, se posso confessare una mia sensazione personale, credo che Ancelotti in Italia non voglia più allenare. Penso che gli siano arrivate anche alcune proposte importanti. Ripeto, è una sensazione mia. Ma non credo di sbagliare. Lo stesso discorso vale per uno come Trapattoni, indipendentemente dall’età».
Brutto segno per il nostro calcio se i nostri allenatori di punta, una volta usciti, decidono poi di tagliare i ponti con l’Italia.
«Non è un momento semplice, per il nostro movimento ».
Proprio Delio Rossi ci diceva che il problema vero sono i dirigenti, incapaci di sostenere un progetto oltre le due settimane, tanto che in Italia uno come Ferguson non potrebbe resistere.
«Discorso complesso. Prima mi lasci dire una cosa: Ferguson, che è il vero fenomeno del calcio mondiale, con la passione che ha, potrebbe allenare ovunque. C’è anche un motivo, che mi ha confessato di recente. L’ho chiamato, come faccio ogni tanto, per chiedergli: “Senti un po’, ma quando smetti tu?”. E lui sorridendo: “Marcello, lasciare il campo vorrebbe dire stare tutto il giorno in casa con mia moglie…”».
Questa volta, a insidiare il dominio del suo Manchester è arrivato mister 15 milioni, il fenomeno Villas Boas.
«Ecco, si diceva prima dei dirigenti. Il discorso non è solo nazionale. Ce ne sono di tre tipi: quelli pronti a buttare anche 300 milioni a stagione; quelli che mescolano sport e impresa; quelli che investono e costruiscono, i miei preferiti, modello Barcellona».
Sì, ma Villas Boas?
«Non lo conosco personalmente, ma quello che vedo mi piace: organizzazione tattica, umiltà, grinta, gruppo, risultati».
E che si è liberato della “paternità” di Mourinho con uno slogan efficace: niente Special One ma Group One. Lei da che parte sta?
«A me non dovete chiedere una cosa simile: penso sia chiaro il mio pensiero sul calcio».
Abbiamo letto piuttosto che lei si rivede in Allegri.
«Vero. Stessa età di arrivo in un grande club, stessa ambizione, determinazione, fantasia nelle scelte, spregiudicatezza».
Resta ancora lui il favorito per lo scudetto?
«Sarà importante il mercato, ovviamente. Ma sul piano degli allenatori, Allegri e Mazzarri partono davanti. Sempre tenendo il paragone personale, in questi casi è un po’ come la mia Juve. Con società strutturate, con filosofie di gioco acquisite, è come accendere l’interruttore. Il Milan è un esempio di organizzazione, Mazzarri è al terzo anno con il suo gruppo. Per questo, in questo momento li vedo davanti».
Conte, o meglio, la Juve di Conte, dunque, deve rincorrere ancora?
«Antonio è la bandiera della juventinità, quella che sta cercando di riaffermare la società. La gente lo ricorda come giocatore straordinario e lo ama. Se c’è una persona giusta per questa missione è lui. Ma la società deve costruire la squadra in modo consapevole».
A Torino non possono fallire ancora una volta.
«Per questo tutti devono credere nel progetto portato avanti dal presidente Agnelli e da Marotta ».
Tutti parlano di top player, a partire da Aguero.
«Il Kun è un giocatore da Juve, senza dubbio. Vedo grande entusiasmo, bisogna concretizzare».
juliocesar90- Admin
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Occupazione/Ozio : musicista
Umore : BEH CHE DIRE... UN ORGASMO NN E' NIENTE A CONFRONTO
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Re: Lippi: “La sfida scudetto? Lo vince uno tra il Milan o Napoli”
Con il dovuto rispetto, má quando vedo la faccia di questo signore mi viene d'andare al bagno.....
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«La Juventus ha la sua politica, quando entreremo nel loro ordine di idee allora chiederemo anche noi i due scudetti che ci mancano nel passato». (Campionati del 1998 e del 2002). Massimo Moratti.
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«La Juventus ha la sua politica, quando entreremo nel loro ordine di idee allora chiederemo anche noi i due scudetti che ci mancano nel passato». (Campionati del 1998 e del 2002). Massimo Moratti.
NEROAZZURRO_09- Special One
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