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Capitan Zanetti: "L'Inter mi ha accolto e dato tutto. Non posso che amarla"

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Messaggio Da Fabietto96 Mar Lug 19, 2011 6:03 am

Il grande Capitano, Javier Zanetti, in una bella intervista al quotidiano spagnolo El Pais, racconta tutto di se stesso, dai sogni da bambino alle vittorie in campo calcistico e sociale da adulto. Dichiara il suo amore per i colori nerazzurri e per la sua amata Argentina, senza dimenticare i tecnici che l'hanno formato come giocatore e come uomo.

Cos'è la Fondazione Pupi?
"E' una fondazione per reintegrare i bambini nella società. La fondammo 10 anni fa, in uno dei peggiori periodi vissuti dalla popolazione argentina. Con Paula, mia moglie e alcuni amici ho sentito la necessità di aiutare. Ora supportiamo più di mille persone, i bambini e le famiglie delle zone più disparate di Buenos Aires come Lanús. Li portiamo a scuola la mattina, li portiamo al nostro quartier generale, diamo loro il pranzo, poi gli facciamo svolgere tutte le attività complementari e li riportiamo a casa. Diamo istruzione, progetti per la salute, cultura, aiutiamo i genitori che non hanno la possibilità di far crescere bene i propri figli. I sacrifici di mio padre muratore e di mia madre che facevano per me e mio fratello mi hanno segnato. I miei figli sono privilegiati perchè possono studiare, la cultura è essenziale. Sento il bisogno di dare un'opportunità anche ai bambini che non ce l'hanno".
Quando aveva sei anni, come adesso sua figlia Sol, pensava di riuscire a giocare fino a 37 anni?
"No. A quell' età sognavo solo di giocare in Prima divisione e di fare una partita con l'Argentina. Ma ho superato le mie aspettative".
I suoi numeri sono spettacolari. Come ha fatto ad arrivare a giocare così tanto? Si tratta di una questione fisica o mentale?
"Grazie a Dio i miei genitori mi hanno dato questi geni. E' evidente. Ma la testa è la cosa più importante, devi rispettare la cultura del lavoro,in allenamento devi lavorare sempre con lo stesso impegno".
Cosa conserva del calcio?
"Le Persone, i luoghi, l'essenza di questo sport è questa. I titoli rimangono in secondo piano nella mia vita, ho 37 anni. Se mi chiedete una partita, che posso definire indimenticabile sicuramente è la finale di Champions League al Bernabeu, o il giorno in cui abbiamo perso lo scudetto nell'ultima giornata favorendo la Juventus ... Certo, ci sono questi momenti. Ma io del calcio prendo sola la gente, i luoghi, le emozioni e gli insegnamenti di questo sport".
Ci può fare una lista di allenatori che ha avuto?
"Non stanno in un unico foglio, ma ho imparato sempre qualcosa da tutti. All'Inter ci sono stati momenti in cui cambiavamo molti allenatori. I successi sono stati utili per trovare continuità. In Argentina ne ho avuto anche molti. Ma nessuno è stato come Bilesa.In sei anni mi ha segnato come giocatore e persona. Ho avuto Cuper, Mourinho...Josè è molto capace, sa quello che vuole e crede molto nel suo lavoro. Ha una grande personalità ... Come Bielsa, che tatticamente è preparato. Con Marcelo ho avuto tante esperienze belle da giocatore e da persona normale. Ho un grande rapporto. Gli auguro ogni bene. L'Inter ha cercato di prenderlo, ma aveva dato la sua parola all'Athletic di Bilbao".
Ha giocato in tutte le zone del campo. Dove si corre di più?
"Ho giocato ovunque, anche in attacco qualche volta. Ma a centrocampo si corre di più, il gioco si sviluppa lì"
Qual è stato l'avversario più difficile da marcare?
"Kakà ai tempi del Milan. E ho avuto la fortuna di giocare con i migliori giocatori del mondo, come Baggio e Ronaldo. Lui era inarrestabile. Aveva forza, potenza e velocità. Il peggior momento dei miei 17 anni in Italia è stato quando si infortunò. Mi ricordo che lo stadio era muto e che la gente era dispiaciuta. L'Inter mi ha dato qualcos'altro, sul serio: prima di tutto un'opportunità. Mi ha aperto la porta e mi ha dato fiducia quando ero giovane e cercavo fortuna in un altro continente. L'Inter mi ha dato amore e affetto, mi ha fatto sentire a casa. Mi ha dato tutta la mia carriera. Io le ho dato tutta la mia essenza come l'ho data nel Talleres quando ho iniziato e nel Banfield. Ho avuto sempre la stessa condotta. E' difficile da spiegare ma non riesco a immaginarla in un' altra maniera".
Perché il calcio argentino non ha una struttura che possa impedire la fuga dei giovani talenti?
"Se potessero, i giocatori non andrebbero via dall'Argentina. Ci sono tutte le condizioni per fare bene qui, ma per avere una carriera migliore bisogna andar via. Non credo che sia solo un problema del calcio argentino, il problema è anche altrove, ha una dimensione sociale. Il problema deve essere risolto, tutto ha una soluzione, ma non riguarda solo il calcio, è un problema di educazione".
Qual è il problema della nazionale argentina?
"Non hai il tempo di fare bene le cose.Tutto è immediato. Finisce la Coppa America e cominciano le qualificazioni. Fare tutto così non è possibile. Non è facile essere allenatore e costruire una squadra se non hai tanto tempo. Ma è la cultura che abbiamo, siamo molto esigenti e impazienti. Siamo sulla buona strada per fare cose ottime, il cambiamento richiede tempo. La continuità da tranquillità. All'Inter, ho vinto qualcosa quando ci fu continuità di portare avanti il ​​progetto".
Dopo tanti anni senza vincere la Coppa del Mondo e la Coppa America, la maglia della nazionale pesa di più?
"Si pesa. Ma è molto piacevole da indossare".
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